Corte di Cassazione, Sez. III penale – sentenza 12 aprile 2019, n.16039
MASSIMA
Costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione. (Condannato il padrone di un cane per aver maltrattato, per crudeltà o senza necessità, l’animale, sottoponendolo a sevizie, colpendolo violentemente con un bastone di ferro, privandolo del nutrimento e dell’acqua e lasciando la cuccia sporca e piena di escrementi).
CASO OGGETTO DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Bergamo ha condannato alle pene di legge Ad. Ou. per il reato di cui all’art. 727 cod. pen., così riqualificato il fatto, per aver maltrattato, per crudeltà o senza necessità, il suo cane di razza Amstaff (American staffordshire terrier), sottoponendolo a sevizie, colpendolo violentemente con un bastone di ferro in almeno 7-8 occasioni, privandolo del nutrimento e dell’acqua e lasciando la cuccia sporca e piena di escrementi, in Ambivere da giugno 2014 a giugno 2015. Ricorre l’imputato.
F A T T O
1. Con sentenza in data 13.6.2018 il Tribunale di Bergamo ha condannato alle pene di legge Ad. Ou. per il reato di cui all’art. 727 cod. pen., così riqualificato il fatto, per aver maltrattato, per crudeltà o senza necessità, il suo cane di razza Amstaff (American staffordshire terrier), sottoponendolo a sevizie, colpendolo violentemente con un bastone di ferro in almeno 7-8 occasioni, privandolo del nutrimento e dell’acqua e lasciando la cuccia sporca e piena di escrementi, in Ambivere da giugno 2014 a giugno 2015.
2. Con un unico motivo di ricorso l’imputato deduce la violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione all’art. 727 cod. pen. Ritiene di non aver inflitto all’animale gravi sofferenze e che la condotta tenuta consisteva in temporanei atteggiamenti semplicemente volti a frenare l’esuberanza dello stesso. Aggiunge che la sentenza non aveva motivato sugli elementi costitutivi del reato perché non erano emerse condizioni di detenzione del cane contrarie alla sua natura né erano state accertate le conseguenze patite in concreto dall’animale per effetto della sua azione. La sentenza era inoltre affetta da manifesta illogicità poiché aveva costruito un rapporto di continuità normativa e continenza tra la fattispecie dell’art. 544-ter cod. pen. e quella dell’art. 727 cod. pen. Precisa che la disposizione dell’art. 727 cod. pen. non si riferiva a situazioni contingenti provocanti un temporaneo disagio dell’animale.
D I R I T T O
3. Il ricorso è manifestamente infondato perché si risolve in una generica contestazione dell’apprezzamento del presupposto oggettivo della norma incriminatrice violata.
Scrupolosamente il Tribunale, dopo aver analizzato gli elementi costituitivi del reato di cui all’art. 544-ter cod. pen., ha riqualificato il fatto ai sensi dell’art. 727 cod. pen., avendo accertato che l’imputato aveva avuto comportamenti violenti con spranghe di metallo e tondini di ferro, con una certa frequenza e per un apprezzabile periodo di tempo, nei confronti del cane, sia pure a scopo punitivo e/o dissuasivo rispetto a qualche ‘guaio’ che aveva combinato.
La decisione è in linea con il pacifico orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui costituiscono maltrattamenti, idonei ad integrare il reato di abbandono di animali, non soltanto quei comportamenti che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali per la loro manifesta crudeltà, ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione (da ultimo, Cass., Sez. 7, ord. n. 46560 del 10/07/2015, Francescangeli e altro, Rv 265267 con ampie citazioni ai precedenti)
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.